Binge Eating Disorder

Cos’è il Binge Eating disorder? FAME INCONTROLLATA

Cos’è il Binge Eating disorder?

Il binge eating disorder, noto anche come “disturbo da alimentazione incontrollata”, è probabilmente uno dei disturbi alimentari più diffusi.

È stato descritto per la prima volta da Stunkard, nel 1959, per essere poi introdotto, nel 2013, nel DSM-5.

Tale manuale lo descrive come l’insieme di “ricorrenti episodi di abbuffata, che si verificano almeno una volta a settimana per tre mesi”.

Con il termine abbuffata ci riferiamo al “mangiare in un determinato periodo di tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili.” (DSM-5). Infatti, ciò che caratterizza l’abbuffata è proprio la sensazione di “perdita del controllo”: l’individuo inizia a mangiare e non riesce più a smettere o a controllarsi. Non solo: tende anche a mangiare molto rapidamente e delle quantità eccessive di cibo, senza alcun tipo di preoccupazione.

Ciò tende a verificarsi non per placare la propria fame, ma per far fronte alla solitudine: quando insomma ci si sente soli, tristi o ansiosi. Insomma, in ogni tipo di situazione emotiva che l’individuo non riesce a controllare.

L’individuo che soffre di tale disturbo vede nel cibo una soluzione per il suo stato emotivo, che altrimenti risulterebbe incontrollabile. Ma così facendo non fa altro che entrare in un vero e proprio circolo vizioso.

Mangia per stare bene, ma le abbuffate a loro volta non possono che farlo sentire peggio.

Per questo tende a tornare al cibo, con l’illusione di sentirsi di nuovo bene. Questo, ovviamente, non può che avere delle conseguenze a livello fisico: molte volte si registra un considerevole aumento di peso, soprattutto se il disturbo persiste per molto tempo.

Ci potremmo chiedere, quindi, in cosa si differenzia dalla bulimia o dall’obesità?

Rispetto alla bulimia nervosa, il binge eating disorder non è caratterizzato dai comportamenti compensatori: chi soffre di disturbo da alimentazione incontrollata non attua compensazioni subito dopo l’abbuffata: quindi non è presente il vomito o l’uso di lassativi.

Nonostante ciò, è presente comunque il senso di colpa e il disprezzo verso se stessi che, però, si risolvono in una fase di passività e sconforto.

Rispetto all’obesità, chi soffre di disturbo da alimentazione incontrollata è inoltre fissato col proprio corpo e con il proprio peso: si ritiene, infatti, che chi soffre di tale disturbo sia reduce da una serie di diete risultate negative e fallimentari.

Da uno studio in laboratorio è emerso come le abbuffate solitamente siano conseguenti a periodi di restrizione dietetica prolungata (Garner e Wooley, 1991)

Questo porta il soggetto ad abbuffarsi in modo compulsivo e, spesso, ciò si ripete sistematicamente.

Esordio del disturbo da alimentazione incontrollata.

Tale disturbo risulta essere uno dei disturbi alimentari emergenti, è stato infatti inserito nel DSM-5 soltanto recentemente, eppure è uno dei più diffusi: pensate che è più diffuso dell’anoressia e della bulimia insieme.

E’ stato infatti osservato come tale disturbo, a livello mondiale, colpisca il 2,6% della popolazione. Tale disturbo sembra colpire maggiormente le donne, ma è stato altresì osservato che, nella popolazione maschile, risulta essere il disturbo più diffuso, con una prevalenza stimata al 40% contro il 10-15% della bulimia nervosa e il 5-10% dell’anoressia nervosa.

Nella maggior parte dei casi, emerge durante l’adolescenza: ciò comunque non esclude che possa emergere anche durante la vita adulta, come accade in alcuni casi.

Ma quali sono i sintomi che generalmente si manifestano se si soffre di tale disturbo?

Sintomi del Binge Eating disorder

sintomi sono diversi e di diversa natura, da quelli comportamentali a quelli emozionali. Vediamoli insieme.

  • Incapacità di smettere di mangiare e mancanza di controllo su cosa si sta mangiando;
  • Mangiare molto rapidamente;
  • Mangiare anche quando si è pieni: quindi non per un vero e proprio bisogno fisiologico;
  • Nascondere il cibo per mangiarlo in seguito di nascosto;
  • Mangiare in modo continuo e senza regole durante la giornata;
  • Mangiare in modo normale quando si è in presenza di altri ma abbuffarsi quando si è da soli;
  • Imbarazzo su quanto si sta mangiando;
  • Sensazione di intorpidimento durante l’abbuffata come se non si esistesse in quel momento;
  • Disperazione per controllare il proprio peso e le quantità del cibo mangiato;
  • Sensazione di disgusto e depressione dopo l’abbuffata;
  • Bassa autostima e svalutazione di sé stessi.

Diagnosi del Binge Eating disorder

La diagnosi di tale disturbo è alquanto complessa perché spesso questo viene confuso con la bulimia o, maggiormente, con l’obesità. Inoltre, il soggetto che soffre di tale disturbo non percepisce un vero e proprio disagio emotivo quindi si rivolge ad uno specialista, soprattutto per avere una dieta efficace.

Per effettuare una diagnosi corretta è fondamentale la consultazione del DSM-5, che afferma che siamo di fronte a tale disturbo se e quando si presentano i seguenti sintomi, almeno due volte alla settimana per sei mesi:

  • Episodi di abbuffate compulsive molto ricorrenti durante la settimana;
  • Le abbuffate devono essere associate a tre caratteristiche: mangiare molto rapidamente, mangiare fino a quando ci si sente così pieni da provare dolore, mangiare molto anche senza aver fame;
  • Alle abbuffate seguono, inevitabilmente, stati emotivi negativi e un profondo senso di colpa.

Il DSM-5, inoltre, distingue anche diversi livelli di gravità di tale disturbo in base alla frequenza settimanale dei sintomi.

Tra questi abbiamo:

  • Binge eating lieve: da 1 a 3 episodi a settimana;
  • Binge eating moderato: da 4 a 7 episodi a settimana;
  • Binge eating grave: da 8 a 13 episodi a settimana;
  • Binge eating estremo: 14 o più episodi a settimana.

Cause del disturbo da alimentazione incontrollata

Per quanto riguarda le cause di tale disturbo, sono stati svolti diversi studi proprio per comprenderli, ma non è ancora presente una spiegazione totalmente esaustiva.

fattori genetici, per esempio, hanno un loro peso; si è osservato, infatti, che la prevalenza del disturbo, che è circa del 60%, è più elevata in individui che hanno almeno un parente di primo grado che ne soffre, rispetto alle famiglie in cui non c’è: qui infatti la prevalenza è del 5%.

Ma le cause devono essere rintracciate soprattutto in ambito psicologico. Nella maggior parte dei casi, chi soffre di tale disturbo ha vissuto determinate esperienze durante la sua vita, soprattutto esperienze negative o difficili, come l’aver avuto un genitore depresso o essere stati spesso esposti a giudizi negativi e critici rispetto al proprio corpo o alle proprie abitudini alimentari.

Anche i fattori sociali hanno loro una rilevanza: la nostra società, sempre più attenta alla forma fisica e caratterizzata da vere e proprie pressioni sociali, inducono il soggetto ad una vera e propria preoccupazione: chi non riesce a conformarsi a tale prototipo di bellezza fisica, spesso, non riesce ad accettarsi.

Questo potrebbe essere il motivo che spinge tali soggetti a condurre diverse diete dimagranti, molte fai da te, senza aver poi successo.

Tutto ciò permette di spiegare il 61-72% della varianza dei sintomi negli uomini e il 70% nelle donne.

Trattamento del Binge Eating disorder

Chi ne soffre, spesso, proviene quindi da un passato difficile in cui il cibo diviene, allo stesso tempo, fonte di consolazione e gioia.

Sicuramente, per un disturbo così complesso, è necessario un approccio multiplo che preveda una terapia farmacologica, principalmente con l’utilizzo di farmaci antidepressivi. Ma in molti casi, la sola terapia farmacologica non ha efficacia: fondamentale importanza ricopre anche la psicoterapia.

Molto efficace è la terapia individuale: in tale percorso, si affronta col paziente il processo alla base del disturbo e i suoi fattori di mantenimento.

Lo scopo principale è quello di riconoscere le cause e le caratteristiche del disturbo per poi diminuire i comportamenti disturbanti.

Molto efficace può essere anche la terapia familiare perché, come detto precedentemente, spesso il disturbo è presente proprio in famiglia: in questo caso vengono analizzate le caratteristiche del disturbo e le difficoltà dei familiari nell’approcciarsi ad esso.

Consigli pratici per convivere con il disturbo da alimentazione incontrollata

Ma, all’atto pratico, che cosa si può fare per essere liberi o, quantomeno, per controllare tale disturbo?

Vediamo qualche suggerimento.

Circondati di persone che ti fanno star bene

Come detto anche precedentemente, le pressioni sociali possono influenzare lo sviluppo di tale disturbo.

Fate dunque attenzione soprattutto a chi vi sta intorno: evitate la gente che non vi fa star bene ed evitate chi vi critica e vi fa sentire a disagio anche con voi stessi.

Non ci sono canoni o prototipi da rispettare, se non quello del vostro benessere!

Pianifica i pasti

Il disturbo implica episodi di abbuffate incontrollate a tutte le ore e, quindi, in modo sregolato. Cercate quindi di fissare degli orari e fate in modo che ciò diventi una vera e propria abitudine: riuscirete così a mangiare meglio e sicuramente meno.

Cosa ti spinge a mangiare?

Quando mangiate e vi abbuffate, lo fate per fame o per qualche altro motivo?

Molte volte, gli episodi di abbuffate sono innescati da noia o vera e propria tensione: il cibo, per voi, diviene quasi una soluzione per tali stati emotivi negativi.

Ma è davvero così? Il cibo vi aiuta a stare bene e vi fa davvero bene?

Riflettete su questi interrogativi e sulle probabili risposte, al fine di capire cosa vi spinge davvero a mangiare.

info@centroamamente.it

https://www.centropsicologicomilano.it

Cell.3311842704

Fonte articolo:

Binge eating

Riferimenti

  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition. Arlington, VA, American Psychiatric Association.
  • Garner, D.M., Wooley, S.C. (1991). Confronting the failure of behavioral and dietary treatments for obesity. Clinical Psychology Review, 11, pp. 729–780.

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