Cosa fareper controllare la rabbia nei bambini?
La gestione dell’emozione primaria della rabbia è un percorso che chiama in causa piccoli e grandi.
Ecco alcuni suggerimenti per contenerla, sfidare le criticità e non “castrare” la sfogo di energia positiva, soprattutto nelle bambine.
Crescendo si impara. Potrebbe essere questa, se mai esistesse, la massima che meglio fotografa il rapporto del bambino con la propria rabbia. Ma il percorso che va dalla manifestazione incontrollata alla gestione responsabile dell’emozione è lungo, complesso e ricco di sfide, per piccoli e grandi. «La rabbia è un’esperienza emotiva sana, un’espressione e un’affermazione del proprio sé», rassicura la Dottoressa Anna La Guzza, psicologa clinico-dinamica, direttrice del Centro Amamente di Milano (https://WWW.CENTROAMAMENTE.IT) per l’infanzia e la famiglia di Milano. Per gli esperti, si tratta di un’emozione fondamentale che si perde nella parti evolutivamente più antiche del cervello animale. «La rabbia fa la sua comparsa già nel primo anno di vita – aggiunge Francesca Broccoli, psicologa e psicoterapeuta – e ha un ruolo importante per tutti».
Quale?
E’ energia, spinge all’azione e protegge dagli attacchi esterni, fisici ed emotivi. Nell’espressione della rabbia, però, la famiglia entra nell’equazione. «In un certo senso, la manifestazione della rabbia, come delle altre emozioni, è qualcosa che impariamo dalla famiglia», concorda Broccoli.
I maschi hanno la tendenza a esternalizzare, le femmine ad interiorizzare il vissuto di rabbia. «Non solo gli ormoni, ma anche lo stile genitoriale gioca un ruolo fondamentale nelle differenze di genere. Un bambino che si arrabbia è considerato socialmente più accettabile nella comunità occidentale di quanto non lo sia una bambina in preda a un attacco isterico», osserva la Guzza. Attenzione, dunque, perché i genitori tendono a castrare la rabbia nelle bambine più di quanto non lo facciano nei maschi.
Le molte “facce” della rabbia
La rabbia non è un sostantivo dal significato univoco. Piuttosto, il compito dell’adulto è quello di capire di fronte a quale tipo di rabbia ci si trova. Questa, con ogni probabilità, è la parte più difficile, perché contemporaneamente bisogna fare in modo di non farsi travolgere dal proprio nervosismo.
E’ per questa ragione che, avvertono gli esperti, la mamma non deve essere lasciata da sola nella gestione della rabbia del figlio: «Il ruolo del papà è altrettanto importante – sottolinea la dottoressa La Guzza -, perché l’interazione con il papà ha il potere di spezzare dinamiche viziose e innescare modalità virtuose nella gestione degli agiti di rabbia e nella crescita emotiva del bambino». Gli step per fare fronte all’esplosione di rabbia sono tre: ascoltare, mantenere la calma e comprendere. La gestione, infatti, arriverà in un secondo momento.
Le discriminanti del management della rabbia sono fondamentali sono due: la prima è legata all’età, la seconda all’intensità della rabbia. «La gestione della crisi dipende dalla fase di sviluppo. Per esempio, se abbiamo a che fare con un bambino che non sa ancora esprimersi verbalmente», prosegue Broccoli. Nel caso della prima infanzia, la sfida è la costruzione di un senso che il piccolo non sa dare.
«Ci sono bambini che si arrabbiano tanto, probabilmente perché stanno attraversando una fase, stanno percependo qualcosa».
La risposta, dunque, è legata al corpo: «Si può usare il gioco per sfogare l’aggressività, oppure si può aiutare il bambino a rilassarsi con la musica o con il massaggio. Ma anche il paraverbale, cioè il tono di voce che usiamo e le espressioni che adottiamo comunicano molto», suggerisce Broccoli.
Strategie per fare
Per la spiegazione, c’è tempo. Quando il bambino è tranquillo, si può parlare, si può cercare di aiutare a capire le proprie emozioni, magari leggendo delle storie, come “Rime di rabbia” di Bruno Tognolini o “Che rabbia!” di Mireille D’Allancé. Con i bambini più grandi, invece, si può disegnare la rabbia, trasformarla in un personaggio, farla raccontare di sè.
O ancora, propone La Guzza: «Si può giocare a fare la lotta che è un modo di scaricare l’aggressività, la tensione, la rabbia attraverso il gioco. Si tratta di un esercizio importantissimo, perché permette al bambino di misurare e modulare i suoi agiti emotivi, di riconoscerli e accettarli come parte di sé, di comprendere la relazione tra agiti e conseguenze, di testare la resistenza corporea, dunque di vivere la sua emotività come sana e non distruttiva». Anche le “cuscinate” fanno bene. «Colpirsi senza farsi male riduce la tensione e scarica endorfine», suggerisce la psicologa. Attenzione, però, perché capire quando chiedere aiuto è altrettanto importante.
Fra i campanelli d’allarme figurano una rabbia di cui non si riesce a individuare una causa scatenante, ma anche la frequenza e l’intensità degli attacchi. Chi ha il dubbio, invece, che un atteggiamento comprensivo potrebbe tradursi in un rinforzo di un comportamento o di una modalità espressiva inadeguata può stare tranquillo: «Dare un significato, una parola alla rabbia è un modo per far intendere al bambino che le sue emozioni hanno trovato comprensione e che l’energia può essere incanalata in modo positivo», conclude Broccoli che invita a non aspettare semplicemente “che passi”.